IL RECUPERO DEGLI SCALI FERROVIARI MILANESI: UNA STRATEGIA VINCENTE
Alla fine dell’Ottocento, lo sviluppo delle reti ferroviarie comportò la realizzazione di ampi scali ai margini o anche all’interno delle principali città, dove erano pure ubicati i maggiori stabilimenti industriali, quasi sempre raccordati. Cento anni più tardi il declino del trasporto merci su rotaia, incalzato dall’autotrasporto su gomma, comportò il progressivo abbandono di questi scali. Ciò non significa che il traffico delle merci su rotaia non abbia futuro, ma certamente il treno sarà competitivo sulle lunghe distanze tra i principali poli intermodali, anziché nell’inoltro di piccole partite e carri isolati come un tempo.
Ben diversa è stata l’evoluzione del traffico passeggeri. Qui è molto importante che il treno penetri all’interno delle conurbazioni. Anzi, più è densa la presenza di residenze, negozi e uffici, meno compatibile è la libera circolazione delle auto private per le evidenti criticità ambientali e la congestione che ciò comporta. Quindi ben vengano la ricollocazione all’esterno degli scali merce ed il recupero urbanistico delle aree dismesse. A condizione, però, di mantenere i binari necessari per muovere i treni passeggeri, sia a breve che a lunga distanza.
Attualmente a Milano ci sono ben sette scali in via di dismissione e di riconversione: Farini, Greco, Lambrate, Rogoredo, Porta Romana, Porta Genova e San Cristoforo. Ma, a ben vedere, l’intervento di gran lunga più importante è già stato realizzato con successo. Si tratta del Centro Direzionale, sorto attorno alla stazione di Porta Garibaldi, con la piazza Gae Aulenti, il grattacielo dell’UniCredit e, a margine, il Bosco Verticale dell’architetto Boeri, la nuova sede della Regione Lombardia ed altri palazzi spettacolari. Una colata di cemento? Forse, ma ben temperata dalla realizzazione di spazi verdi di pregio, come la Biblioteca degli Alberi, di cui tutti possono fruire.
Si tratta di una trasformazione che ha atteso decenni per essere portata a termine, ostacolata anche da malintese remore ideologiche. Fin dagli anni Sessanta, infatti, era stata arretrata la stazione delle Varesine (ultimo retaggio dell’attraversamento in rilevato della città, cessato dopo l’inaugurazione della stazione Centrale nel 1931) ed aperta quella di Porta Garibaldi- Ma le vaste aree prospicienti venivano destinate, nella migliore delle ipotesi, ad un luna park strapaesano, nella peggiore, a terreni incolti frequentati da soggetti marginali o malintenzionati.
Solo agli albori del nuovo Millennio la situazione si è finalmente sbloccata e, congiuntamente con la successiva realizzazione di Expo 2015 in un’altra area degradata ai margini nord occidentali del territorio municipale, Milano da città prevalentemente commerciale è divenuta anche un’attrazione turistica di prima grandezza con centinaia di visitatori, provenienti da tutti gli angoli del globo, intenti a fotografare lo skyline della piccola Manhattan meneghina sorta attorno a Porta Nuova.
Tutto questo però – è doveroso sottolinearlo – è stato reso possibile dalla grande accessibilità, non tanto in auto (per quanto non manchino parcheggi interrati), ma soprattutto in treno – grazie al Passante Ferroviario che attraversa in sotterranea il capoluogo lombardo – a due linee di metropolitana ed anche alla rete tranviaria storica, confermata e opportunamente ristrutturata. Un grande successo che dimostra le potenzialità del trasporto pubblico. Quello su rotaia, ovviamente.
Adesso la sfida si sposta agli altri siti prossimi al recupero. A cominciare dalla grande area dello scalo Farini, che da sempre costituisce una cesura tra due importanti zone della città – Dergano e Bovisa a nord, Cenisio a sud – collegate tra loro da due ponti, quello del Cimitero Monumentale e quello della Ghisolfa, piuttosto distanti tra loro. Qui sono previsti complessi residenziali, ma anche un importante polmone verde. Il tutto servito da una linea ferroviaria già interrata, con la stazione Lancetti, e da una in superficie, che ospita i binari d’accesso a Porta Garibaldi. Greco Pirelli si propone come una interessante rivisitazione di una antica area industriale ora trasformata nel polo universitario di Bicocca e come estensione del sorprendente quartiere NoLo.
Lambrate e di Rogoredo, pur alleggerite da fasci di binari merce ormai dismessi, confermano la loro funzione di stazioni “porta”, l’una per i convogli regionali, l’altra soprattutto per l’Alta Velocità, che accrescerà la propria importanza strategica una volta aperta la galleria del Terzo Valico ed inserito, quindi, il polo di Genova nella “metropolitana d’Italia” che già collega le città padane con il centro sud. La possibilità di interscambiare a Rogoredo, tagliando la lunga digressione fino a Milano Centrale, sarà certamente ancor più apprezzata da coloro che provengono dal capoluogo ligure e raggiungono la capitale, una volta ridotti i tempi di percorrenza a meno di quattro ore complessive.
Anche se, per la verità, alcune corse dirette potrebbero sfruttare la già esistente linea Voghera – Piacenza, previa opportuna velocizzazione, saltando completamente il nodo di Milano.
Meno scontata, invece, era la conferma della funzione ferroviaria per quanto concerne gli scali posti nella parte meridionale della metropoli lombarda. Qui, fino ad una ventina di anni addietro, correva sì una linea di cintura a doppio binario, ma praticamente semi abbandonata. In origine era stata pensata per raccordare la ferrovia per Vigevano e Mortara, i cui treni erano attestati a Porta Genova, divenuta stazione terminale, una volta ridisegnato il nodo di Milano, sempre nel 1931, con l’abbandono del raccordo nei quartieri occidentali, che tagliavano corso Sempione e corso Vercelli.
Quando si trattò di attivare un servizio suburbano (la linea “S9”), proprio lungo la cintura sud, sorsero i soliti comitati “nimby”, preoccupati dal possibile aumento del rumore derivante dal passaggio dei treni, benché lo stesso non fosse previsto nelle ore notturne, mentre la circolazione veicolare inquinante e fastidiosa si protrae incessantemente 24 ore su 24. Il rischio che, durante l’intervento di restyling di Porta Romana, si eliminassero i binari passanti non era dunque infondato.
Invece, il progetto che porterà alla creazione del Villaggio Olimpico (Milano – Cortina 2026) e alla successiva trasformazione in area residenziale e verde in adiacenza alla Fondazione Prada contempla si la definitiva eliminazione di ampi fasci di binari merce ormai dismessi, ma prevede il mantenimento della linea “S11”, seppur sovrastata da una collina artificiale per permettere la continuità pedonale e ciclabile nell’intera area.
Ultima grande operazione di recupero, quella lungo l’asta del Naviglio Grande. La stazione di Porta Genova da tempo dovrebbe essere dismessa, attestando i treni da Mortara a Romolo o a San Cristoforo, che nel frattempo sarà raggiunta dalla nuova metropolitana automatica MM4. Ci sono, quindi, le premesse per realizzare un corridoio ciclo pedonale immerso nel verde e adiacente al corso del Naviglio, dove sorgono importanti edifici di archeologia industriale e una storica chiesetta come quella di San Cristoforo, molto amata dai milanesi.
Per la verità, si sarebbe potuto cogliere l’occasione per destinare parte del sedime dismesso ad una deviazione della linea tranviaria 14, attualmente penalizzata dal traffico veicolare tra via Solari e viale Papiniano, come a suo tempo suggerito da Assoutenti Lombardia. Ma, in ogni caso, anche qui il treno giocherà un ruolo essenziale per evitare l’eccessivo afflusso di auto. E questo è già oggi possibile con la trasformazione della ferrovia in servizio suburbano fino ad Albairate, la successiva estensione del raddoppio verso Abbiategrasso, la riapertura della linea Casale Monferrato – Mortara, finalmente prevista nel 2023, nonostante lo scarso entusiasmo della Regione Piemonte.
Insomma, quello degli scali milanesi costituisce un buon esempio di recupero urbanistico ed ambientale che non mortifica, ma anzi esalta la funzione del trasporto ferroviario passeggeri, collocando in spazi adeguati al di fuori della città municipale (a Segrate, a Busto Arsizio ecc.) la composizione e lo smistamento dei treni merce. Un modello cui dovrebbero ispirarsi anche altre città italiane, alcune delle quali, invece, sembrano tentate dall’allontanare tutti i binari dai centri abitati, senza capire che, così facendo, si renderebbe l’uso del treno meno conveniente.
Massimo Ferrari