NORME E PROCEDURE CHE AFFOSSANO IL RILANCIO DEI TRENI
Il 2026 si avvicina e ci si aspetta di accogliere turisti da tutto il Mondo per le Olimpiadi invernali a Bormio e Cortina. Perciò le infrastrutture vanno ammodernate, anche quelle ferroviarie. E allora si comincia col chiudere per buona parte dell’estate, dal 26 giugno al 9 settembre, la linea della Valtellina. Si potrebbe pensare, ingenuamente, che magari quella ferrovia riaprirà raddoppiata, con maggiore capacità, tempi di percorrenza più brevi e meno passaggi a livello. Macché, si tratta di interventi di manutenzione che lasceranno tutto più o meno come prima. Lavori che un tempo si facevano in pendenza di esercizio. Oggi si è scoperto che è più comodo chiudere per settimane. Tanto gli studenti sono in vacanza. E gli escursionisti che proprio nella bella stagione gradirebbero raggiungere le montagne lombarde senza incolonnarsi in auto? Beh, quelli possono arrangiarsi.
Si tratta forse di un caso isolato? Tutt’altro. In Veneto, tra Belluno e Treviso, la musica non cambia. Fino a qualche anno fa le chiusure estive si facevano a cavallo di ferragosto e solo sulle linee secondarie. Poi, vista la latitanza dei politici e la rassegnazione degli utenti, i gestori ci hanno preso gusto ed i treni vanno in deposito con la chiusura delle scuole per tornare a circolare, se va bene, a settembre inoltrato. La giustificazione è pronta: improrogabili interventi di risanamento a binari, ponti, gallerie. Ma capita di vedere operai al lavoro, in pieno agosto? Non scherziamo, per favore.
Anche itinerari internazionali che dovrebbero essere di primaria importanza, come la linea del Sempione che collega Milano con Berna, Losanna e Ginevra, chiude tra Gallarate ed Arona per alcune settimane. E’ la seconda volta nell’ultimo biennio. Stavolta non c’è più la scusa della pandemia. Bisogna intervenire al ponte sul Ticino di Sesto Calende. E, naturalmente si garantisce un servizio bus sostitutivo. Ma qualcuno pratico dei luoghi immagina cosa voglia dire scendere dai treni a Gallarate, salire sugli autobus sotto il solleone per poi trovarsi incolonnati sulla vecchia statale tra i centri commerciali spuntati come funghi alle porte di Arona? E quindi risalire le scale della stazione sul Verbano per riprendere un Eurocity che cumulerà ritardi sicuramente consistenti?
Il ponte di Sesto Calende fu bombardato dagli Alleati negli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale. Ma subito fu organizzato un trasbordo breve con un ponte di barche per ridurre al minimo il distanziamento tra i due convogli in attesa al di qua e al di là del fiume. E naturalmente i lavori di ripristino ebbero la priorità assoluta, pur nella disastrata Italia appena uscita dal conflitto. Già, ma allora il treno era ancora il mezzo di locomozione fondamentale per l’economia nazionale. Oggi lo è soltanto nei proclami sulla riconversione energetica. Poi, al momento delle scelte, risulta più comodo affidarsi agli autoservizi sostitutivi, che spesso non prende nessuno, tanto sono aleatori. E sperando che le Regioni si ricordino di ridurre proporzionalmente i contributi da contratto di servizio. Altrimenti si potrebbe ipotizzare una fattispecie di danno all’erario.
Se scendiamo verso sud, la situazione tende al tragicomico. Sulla linea Avezzano – Rocchetta le vecchie automotrici arrancavano a fatica in caso di temperature elevate. Anche qui, per evitare guasti, meglio chiudere tutta l’estate. Poco importa se il bus sostitutivo ci mette mezz’ora di più.
L’intera Basilicata è praticamente isolata dal contesto nazionale, a causa di lavori sulla Salerno – Potenza – Metaponto. Secondo Carlo Levi, Cristo si sarebbe fermato a Eboli. Ora manco ci arriverebbe, se scegliesse il treno.
Tra Palermo e Catania, a seguito dell’intervento di un sottosegretario del M5S, si era provato nei mesi scorsi ad introdurre una relazione Frecciabianca, per far capire che anche la Sicilia merita servizi di serie A. Adesso è tutto sospeso, perché, a causa dei lavori di raddoppio della tratta tra Bicocca e Catenanuova, se ne riparlerà in autunno. Ma, a proposito, non doveva trattarsi di una delle grandi opere contemplate dal PNNR? Addirittura di una AV siciliana? Uno immagina un tracciato completamente nuovo, magari in viadotto (e, in effetti, gli stanziamenti previsti sembrerebbero giustificarlo). Ma che linea AV è, se poi ci si limita a posare un secondo binario a fianco dell’esistente tortuoso tracciato, che, ad ogni buon conto, viene disattivato per mesi?
Contrade remote che non fanno notizia? Bene, restiamo allora nel cuore della capitale: un’altra stazione della metropolitana, quella di Libia, chiude per un guasto alle scale mobili. A Napoli capita lo stesso alla stazione Università, inaugurata nel non proprio lontano 2010. Qui si tratta di rifare integralmente la pavimentazione (ma, allora, chi era il responsabile dei lavori effettuati dodici anni fa?). Visto che il prestigioso ateneo Federico II° d’estate funziona a ranghi ridotti, si chiude per quattro mesi, in tempo per accogliere le nuove matricole a metà ottobre.
Il mesto elenco potrebbe continuare per pagine, se solo RFI e le imprese di trasporto locale si degnassero di pubblicare un elenco completo con date di chiusura e di prevista riapertura (sempre che poi vengano rispettate) e non si nascondessero dietro laconici comunicati che non danno l’idea del disastro generale. Però la strategia di fondo finisce con l’emergere. Si salvaguardano soltanto i servizi essenziali, nei mesi invernali, quando l’affluenza di studenti e pendolari rischierebbe di innescare tensioni non controllabili. Oltre, naturalmente ai treni “a mercato”, ossia l’Alta Velocità e le sue antenne, su cui viaggia l’Italia che conta (ma anche qui, il recente deragliamento alle porte di Roma ed i molti giorni necessari per ripristinare la normalità attestano la carenza di piani di intervento in emergenza). E i turisti? A quelli semmai ci pensa Fondazione FS.
Il combinato disposto delle gare d’appalto (se un’aggiudicazione è contestata, come normalmente accade, tutto si interrompe per mesi), delle norme sempre più stringenti sulla sicurezza (anche su linee a doppio binario si deve adesso interrompere il servizio, se la circolazione non è banalizzata) e della preoccupazione, anche legittima, di evitare qualsiasi rischio ai lavoratori impegnati sui cantieri
(misure che, però, se applicate estensivamente ad altri settori, comporterebbero la paralisi dell’economia) stanno provocando un cortocircuito esplosivo.
E ciò si aggiunge ai soliti mali cui siamo assuefatti da decenni: atti di bullismo di massa – vedasi quanto occorso tra Peschiera e Desenzano – investimenti o suicidi che bloccano per ore la circolazione, in attesa dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria (palesemente inutile, ora che tutto è monitorato dalle telecamere), sospensione precauzionale dell’esercizio in occasione di qualche modesto movimento tellurico (come avvenuto sull’Adriatica) o di qualche evento atmosferico un poco anomalo. Prassi che, se estese anche alla circolazione autostradale, finirebbero sui telegiornali in prima serata e produrrebbero l’insurrezione di Parlamento e Regioni. Invece dal servizio ferroviario si pretende la sicurezza assoluta, ossia quella che non esiste oppure ha costi assoluti.
Il cattivo esempio italiano, purtroppo, rischia di attecchire anche oltralpe. Le Ferrovie Tedesche (DB) chiudono la circolazione sulla linea ad Alta Velocità tra Wurzburg e Fulda, realizzata alla fine degli anni Novanta. Anche qui, straordinaria manutenzione. Almeno i tedeschi cercano di evitare la beffa degli autobus sostitutivi ed i relativi trasbordi, facendo circolare gli ICE sulla linea storica, ma con notevole aggravio sui tempi di percorrenza. Alla stazione di Nizza, domenica 5 giugno, centinaia di persone in coda davanti a decine di emettitrici di biglietti. Non paghe di chiedere dati assurdi anche per percorsi di pochi chilometri (tipo e-mail e numero di cellulare), le simpatiche macchinette non accettano né monete, né banconote, ma solo carte di credito anche per pochi euro.
A dispetto delle buone intenzioni della Unione Europea e del PNNR, nel mondo ferroviario sembrano prevalere gli interessi dei costruttori, dei politici, dei concessionari di bus, della magistratura, dei legali, degli informatici che sognano la scomparsa del contanti, oltre ovviamente dei lavoratori e delle loro organizzazioni sindacali. Ci sono praticamente tutti gli attori della vita economica di una nazione. Dei cittadini/utenti, invece, sembra non importare nulla a nessuno.
Massimo Ferrari
Presidente UTP/Assoutenti