OCCHIO ALL’IRAN: LA VIA DELLA SETA ADESSO POTREBBE PASSARE DA SUD
L’inasprimento della guerra in Ucraina e le sanzioni europee contro la Russia rischiano di fare un’altra vittima illustre: la nuova Via della Seta transcontinentale fortemente voluta da Pechino per incrementare il suo interscambio commerciale con l’Occidente. Questo, almeno, nella sua versione terrestre, ché alla Cina resta sempre l’alternativa marittima, via Singapore e Suez. Sempreché il Dragone non voglia scindere la propria posizione da quella dello scomodo alleato di Mosca, rischiando a sua volta sanzioni economiche. Le frontiere ferroviarie tra l’Unione Europea, la Bielorussia e la Russia erano già precluse ai treni passeggeri, dopo lo scoppio della pandemia. Quelli merci provenienti dalla Cina potrebbero in teoria continuare a circolare lungo la Transiberiana. Ma fino a quando?
Esiste, tuttavia, un’altra via terrestre che può collegare l’Europa all’Estremo Oriente, senza passare per la Russia e per l’Ucraina. Si tratta di un itinerario più meridionale, via Istanbul. Teheran, il Turkmenistan e l’Uzbekistan. Si tratta, in fondo, della Via della Seta tradizionale. E i binari ci sono già. Anche se finora poco praticati per i soliti problemi tecnici (anche qui è necessario un doppio cambio di scartamento, visto che le repubbliche ex Sovietiche dell’Asia Centrale adottarono quello largo russo di 1.524 mm). Persiste tuttora la necessità di attraversare il lago di Van, nella Turchia orientale, a bordo dei ferries, ma in compenso il Bosforo non costituisce più una barriera, grazie alla galleria sottomarina del Marmaray, che sarà doppiata a breve da un ponte stradale e ferroviario più a monte.
Tutto ruota intorno all’Iran, la grande repubblica islamica (1.650 mila kmq, due volte più vasta della Turchia, sei volte e mezzo la superficie italiana) collocata tra il Mar Caspio e il Golfo Persico. In Persia – così si chiamava la nazione un secolo fa – il treno era arrivato tardi, solo a fine Ottocento, e la rete non si era molto sviluppata. Tuttavia, nella prima metà del Novecento, venne realizzata un’opera ciclopica, la Trans-iraniana, con numerosi viadotti e trafori nelle montagne di sale e di pietra pomice, oggi patrimonio dell’Umanità protetto dall’Unesco. Negli anni Settanta, durante il regno dello Shah Reza Pahlavi, si era assistito a qualche altro importante ammodernamento, con i turbotreni francesi che coprivano tra l’alba e il tramonto i 926 km che separano la capitale dalla città santa di Mashhad.
Poi arrivò la Rivoluzione khomeinista, la feroce guerra con l’Iraq di Saddam Hussein, le dure sanzioni americane che tuttavia non hanno piegato il regime (sarà lo stesso con Putin?). Molti osservatori pensarono che l’Iran sarebbe ripiombato nel Medioevo, dal quale era uscito da poco. Ma, almeno per quanto concerne le infrastrutture, non è stato così. Nell’ultimo decennio, anche grazie al supporto cinese, l’Iran ha molto ampliato la sua sete ferroviaria, gestita dall’azienda RAI (Islamic Republic Railways). Lo ha fatto in funzione dei collegamenti interni – ad esempio, è in costruzione una linea ad alta velocità da 300 km/h tra Teheran e Isfahan – del raccordo con i porti come Bandar Abbas e, a breve, Chabahar. Ma anche per raccordarsi con le sette nazioni confinanti.
Nel 2009 è stato finalmente colmato il gap tra Kerman e Zahedan, che separava la vastissima rete del subcontinente indiano dal sistema euro asiatico. Nel 2014 è stata aperta la linea con il Turkmenistan (attraverso la quale potrebbero transitare le merci cinesi). Persino verso l’Afghanistan, un paese storicamente privo di ferrovie, i binari iraniani sono penetrati alla volta di Herat. La città potrebbe essere raggiunta a breve, anche se il ritorno al potere dei Talebani, nell’agosto scorso, ha imposto una pausa di riflessione. Ma le distanze tra il regime degli Ayatollah e gli islamici radicali di Kabul non sono certo incolmabili.
Verso occidente, nonostante ricorrenti screzi diplomatici, gli iraniani hanno mantenuto aperto il collegamento con la Turchia (a fasi alterne, torna persino a circolare un treno passeggeri, il “Trans-Asia Express”) e cercano di ricucire i binari con l’Azerbaigian (la linea preesistente era stata interrotta dalla secessione del Nagorno-Karabakh) che consentirebbe collegamenti diretti con la Russia, come ai tempi dell’Unione Sovietica. Durante la Seconda guerra Mondiale, Stalin, che aveva paura di volare, impose agli alleati il vertice a Teheran, proprio perché la capitale persiana era raggiungibile in treno da Mosca.
Persino con l’Armenia cristiana è un progetto una nuova linea ferroviaria, come pure con Iraq, storico nemico verso il quale, dopo il ritorno in auge degli musulmani Sciti a Baghdad, i rapporti sono ora più distesi. Non solo è pianificato un collegamento diretto tra le due capitali, via Qasr-e-Shirin, ma pure uno più breve tra Khorramshar e Bassora, non lontano dalla frontiera del Kuwait, che potrebbe essere raggiunto a breve dalle ferrovie saudite. Nel Medio Oriente verrebbe così a realizzarsi una rete internazionale che le potenze coloniali non riuscirono mai a cucire.
Certo, questo scenario è fortemente condizionato dalla geopolitica. Molte sono le incognite sul tappeto, dalla litigiosità delle repubbliche sub caucasiche, all’isolamento del regime turkmeno, dalla instabilità del Pakistan occidentale (la regione semi desertica del Beluchistan che confina con l’Iran) alla perenne incognita afgana. Ma resta il fatto che proprio la Repubblica Islamica di Teheran potrebbe candidarsi ad un ruolo chiave nei rapporti commerciali tra Oriente e Occidente.
A prescindere dalle insidie nei rapporti internazionali, l’Iran ha comunque un forte potenziale di traffici interni di cui il treno può profittare, La nazione conta ormai 85 milioni di abitanti e anche qui l’urbanizzazione cresce a ritmi vertiginosi. Oltre alla capitale (una megalopoli con oltre otto milioni di abitanti), ci sono almeno altre sette città – Mashhad, Isfahan, Karaj, Tabriz, Shiraz, Ahvaz e Qom – che superano il milione. E sono collocate entro i mille chilometri da Teheran. Spazio per linee veloci non manca di certo. In particolare, tra Teheran e Mashhad si incontra da sempre un’offerta di prim’ordine: 11 coppie di corse ogni giorno, in maggioranza notturne, ma anche diurne, nonostante la notevole distanza.
Sono attualmente in corso 28 progetti per nuove linee che assommano a 500 km e che dovrebbero essere completate entro il 2026. E sono da sfatare alcuni luoghi comuni. Per esempio, che circolino solo treni lenti e polverosi. Già attualmente, in attesa dell’alta velocità made in China, alcuni tracciati sono percorribili a 160 km orari , gradualmente migliorabili a 200. A bordo vagoni letto e ristoranti propongono livelli di comfort che in Europa abbiamo da tempo scordato. Anche il ruolo femminile non è sempre discriminato, come solitamente si crede. A capo dei servizi internazionali della RAI c’è una donna, Mozhgan Kordbacheh.
Inoltre bisogna considerare il ruolo del trasporto su ferro nelle aree urbane e suburbane. Naturalmente la parte del leone la fa Teheran, che dispone di sette linee di metropolitana (la prima fu aperta appena nel 1999) con 144 stazioni e 156 km di sviluppo, Due milioni e mezzo di passeggeri al giorno e 820 milioni l’anno, E ci sono altri 254 km di ferrovie dedicate ai pendolari. Una dotazione ancora insufficiente per ridurre il traffico viario e lo smog che affliggono la megalopoli, ma certamente in sotterranea si viaggia più spediti che in taxi o in auto.
Altre metropolitane sono attive a Mashhad (2 linee, 24 stazioni), a Shiraz (una linea aperta, due in costruzione e altre tre in progetto), a Isfahan (una linea con 28 stazioni) e a Tabriz (una linea con 18 stazioni). Ulteriori cinque città stanno pianificando reti sotterranee, mentre sono in programma nove sistemi di tram moderni in altrettante località. I tecnici francesi – già presenti nel settore ferroviario ai tempi dello Shah – hanno contribuito a formare i quadri locali, ma anche imprese italiane, specie negli ultimi anni, sono attive nel settore.
Massimo Ferrari