C’E’ LA GRATUITA’ NEL FUTURO DEL TRASPORTO PUBBLICO?
Dopo due anni che hanno profondamente inciso sulle nostre abitudini, la pandemia sembra avviata al graduale declino o, quanto meno, a forme con cui potremmo convivere. Come ne uscirà la mobilità – ed in particolare il trasporto pubblico – da questa prova epocale? Indubbiamente la paura del contagio ha incentivato il ricorso a mezzi di trasporto individuali, ma, forse, meno di quanto si potesse temere. La diffusione dello smart working e degli spostamenti in bici o in monopattino hanno evitato il rischio del ritorno ad un traffico caotico ed ingovernabile.
Il trasporto pubblico ha perso (definitivamente o solo temporaneamente?) importanti quote di clientela, ma, appena le restrizioni si sono allentate, molti sono tornati a servirsene. O meglio, il ritorno c’è stato dove la qualità del servizio è buona o, almeno, accettabile. Non così dove puntualità, frequenze, percezione della sicurezza erano già carenti ben prima della pandemia. Certo, è difficile oggi trovare metropolitane e bus sovraffollati, anche nelle ore di punta, ma questo ci deve veramente preoccupare? Dal punto di vista del passeggero, certamente no; finalmente si viaggia più comodi e spesso si trova posto a sedere senza grandi difficoltà. Diciamo che ci siamo avvicinati agli standard europei, dove, non a caso, la capienza massima era valutata in quattro persone per metro quadro, mentre da noi la si stimava in sei. Ossia coefficienti di riempimento tipici del dopoguerra, condizione dalla quale, almeno per quanto riguarda il tpl, forse non eravamo mai davvero usciti.
Ma, è chiaro che un rischio c’è. Le imprese, in presenza di un numero ridotto di passeggeri, potrebbero decidere di tagliare le frequenze e cancellare le linee meno importanti. Qualcuna, invocando, a torto o a ragione, la pandemia, ci sta già provando. Anche nella “virtuosa” Lombardia, Trenord è stata messa sotto accusa da un folto numero di associazioni e comitati pendolari che denunciano riduzione del servizio (specie nelle ore serali) e cancellazione di corse a valanga.
Non altrettanto ha fatto ATM, che gestisce il servizio urbano e che può contare su un contratto “gross cost”. Ossia i minori introiti tariffari sono a carico dall’Ente proprietario, il Comune di Milano. Che, almeno per ora, si astiene dall’assumere scelte impopolari in termini di offerta.
Altrove, in Europa e negli Stati Uniti, addirittura si è puntato sulla gratuità del servizio. Lo ha fatto, ad esempio, Tallinn, capitale dell’Estonia, nazione per certi versi all’avanguardia nel settore delle tecnologie informatiche. Non certo, quindi, un ripiego pauperistico da nostalgici del “socialismo reale”. E la gratuità – non solo per bus e tram urbani, ma anche per i treni sull’intero (seppur ridotto) territorio nazionale – fu decisa anche dal Lussemburgo, prima dell’arrivo del Covid. Con il dichiarato intento di ridurre il traffico veicolare e contenerne i costi relativi. Certo, stiamo parlando di una piccola nazione con un reddito tra i più alti del Mondo, che forse può permettersi questi lussi.
Ma anche diverse città americane, in un contesto da sempre allergico a caricare sui contribuenti gli oneri dei servizi, si stanno orientando nella stessa direzione. Da tempo si era consolidata l’abitudine, oltre oceano, di ammettere i passeggeri gratuitamente a bordo per qualche settimana, in occasione dell’apertura di una nuova linea di “light rail”. Ciò perché, in una società fortemente motorizzata, dove molti non hanno mai preso in considerazione l’idea di servirsi del mezzo pubblico, la clientela va conquistata. E l’attivazione di un nuovo servizio efficiente costituisce un’ottima occasione.
Adesso alcune promozioni tendono a diventare permanenti. Come a Kansas City, dove il tram è tornato nel 2016 ( dopo sessanta anni di assenza) proprio con lo scopo di fungere da catalizzatore per lo sviluppo di una “smart city”. Il servizio viene pagato attraverso tasse locali di scopo. Il nuovo LRT costituisce l’ossatura di una banda wi-fi lunga i 3,5 km, attraverso la quale gli smartphone dei passeggeri ricevono in tempo reale le promozioni di ristoranti e negozi situati lungo il percorso. Ciò non solo fornisce ulteriori introiti al gestore, ma coinvolge il vettore in un progetto avanzato cui partecipano le maggiori società di telecomunicazioni. E anche a Milwaukee la nuova linea di “streetcar” di 3,2 km è utilizzabile gratuitamente, grazie ad una sponsorizzazione pluriennale della Potawatomi Hotel and Casinò, che si accolla i costi operativi. L’impresa è di proprietà di “nativi americani” (ossia i discendenti dei pellirosse) ed è uno dei maggiori datori di lavoro nel settore dell’intrattenimento in Wisconsin.
Questi esempi hanno fatto scuola e così la sindaca di Boston, Michelle Wu, ha posto la gratuità dei mezzi pubblici tra le promesse elettorali. Per ora la si sperimenta su tre linee di bus. Anche Los Angeles, dove opera la seconda più grande rete di trasporto pubblico Usa, punta sulla gratuità per recuperare la frequentazione pre-pandemia. In fondo gli introiti tariffari costituiscono una voce secondaria nei bilanci delle imprese americane. A Dallas, che ha realizzato in pochi anni una vasta rete di collegamenti su rotaia, appena il 15 % viene dai biglietti, il resto da tasse locali finalizzate.
Da noi questi casi potrebbero riaccendere un dibattito che suscitò un certo clamore nei prima anni Settanta, quando alcune municipalità – soprattutto a Bologna – sperimentarono la gratuità del trasporto pubblico. La misura aveva un senso all’epoca, quando si trattava di introdurre l’agente unico a bordo, visto che gli stipendi dei bigliettai da soli talvolta superavano al gettito delle tariffe. Ma l’occasione fu sprecata perché il personale in esubero rimase in forza alle aziende, i cui conti continuarono a peggiorare, Mentre, in assenza di una percepibile miglioria nella qualità del servizio, le ricadute sperate sul contenimento del traffico motorizzato si ridussero a poca cosa.
La questione permane, dunque, fortemente controversa. Come sanno i (pochi) economisti che se ne sono seriamente occupati, la domanda di trasporto pubblico è solo parzialmente elastica.
Nel senso che tende a contrarsi in caso di significativi aumenti nel prezzo di biglietti ed abbonamenti. Ma non altrettanto avviene quando si riducono gli stessi. Se il servizio è percepito negativamente, chi dispone di mezzi propri continuerà a usarli, pur accollandosi un costo maggiore.
Viceversa anche l’automobilista prende in considerazione l’opportunità di lasciare a casa la sua vettura, quando sa di poter contare su un sistema di trasporto veloce, frequente, affidabile e ragionevolmente comodo. Caratteristiche che si incontrano, in genere, su linee metropolitane, tranviarie in sede propria e, talvolta, anche in bus, ma se realmente protetti dal traffico veicolare. Allora il prezzo del biglietto si relativizza (specie se confrontato con il costo del parcheggio, che, però, deve essere “certo” e non facilmente eludibile, come spesso accade nelle nostre strade). Eventuali sconti possono essere davvero incentivanti per determinate categorie, come le famiglie o gruppi di turisti che si spostano assieme
Forse, però, la vera riforma sarebbe quella di spacchettare l’offerta delle imprese di trasporto in due segmenti ben individuati: da un lato un servizio commerciale performante e affidabile, sviluppato su un numero limitato di direttrici ad alta frequenza, svincolate dal traffico ed estese nell’intero arco della giornata. Un servizio potenzialmente “trasversale” alle varie categorie di cittadini e per il quale il cliente medio è disposto a pagare. Tendenzialmente le reti su ferro o davvero protette.
Dall’altro un servizio di tipo “assistenziale” e dedicato alle categorie “deboli”, che non dispongono di alternative individuali (i bus che zigzagano per i quartieri o in provincia, tanto per intenderci, a beneficio di qualche utente non motorizzato). Questi servizi potrebbero anche essere gratuiti, ma il loro costo dovrebbe essere accollato alla fiscalità generale e non gravare sui bilanci di cui le imprese di trasporto devono alla fine rispondere, finendo col tagliare anche l’offerta competitiva.
Qualcosa del genere, in fondo, è il sistema creato dalle Ferrovie italiane su scala nazionale. Con tutte le contraddizioni e i limiti del caso. E non prima di aver ricevuto in gestione la rete ad alta velocità, che ha consentito, almeno ad una parte del servizio ferroviario, di “stare sul mercato”.
Massimo Ferrari