GRANDI INVESTIMENTI PER PEGGIORARE IL SERVIZIO? ANCHE NO.
Il vantaggio che ha la ferrovia sulle altre modalità di trasporto (auto e aerei) è soprattutto quello di essere arrivata prima.

Quel mezzo secolo di anticipo maturato nella seconda metà dell’Ottocento si è rivelato decisivo per la sopravvivenza del trasporto su rotaia quando, un secolo più tardi, ha dovuto subire una concorrenza feroce e talvolta sleale. Subendo perdite non trascurabili (la riduzione delle reti in molte nazioni avanzate), ma alla fine individuando propri ambiti di competitività (le linee veloci, le aree metropolitane). E ponendo così le basi per l’attuale rilancio.
Ciò è dovuto non tanto al treno in sé, che pure ha conosciuto profonde trasformazioni dalle prime macchine a vapore ai Frecciarossa dei nostri giorni. Quanto piuttosto alle linee ferrate ed alle relative stazioni che, nella gran maggioranza dei casi, si trovano ancora nelle stesse posizioni individuate dai progettisti ottocenteschi. Attorno a quelle stazioni si sono sviluppate le città che oggi conosciamo. Certo, la ferrovia ha costituito anche una barriera che può aver condizionato lo sviluppo urbanistico e condizionato la qualità della vita dei frontisti (oggi molto meno che in passato, quando le abitazioni contigue ai binari erano annerite dal fumo). Ma, comunque, i residenti avevano considerato prevalente il vantaggio di abitare vicino ad una stazione rispetto ai disagi.
Questo, almeno, fino a quando si è diffusa la motorizzazione individuale e molti hanno pensato di fare a meno del treno. Le attese ai passaggi a livello o il rumore al transito dei convogli sono allora divenuti insopportabili a chi quel treno non usa mai. E non considera come il fatto che una quota di altri concittadini continui ad utilizzarlo offre comunque il vantaggio di strade meno trafficate di cui godono anche i mancati utilizzatori. Purtroppo, però, questa visione miope ed egoista ha contagiato molti amministratori locali che credono di interpretare il “sentiment” dei loro elettori, proponendo l’allontanamento delle stazioni dai centri abitati (a spese dell’erario nazionale, “ca va sans dire”).
Per molto tempo queste tendenze sono rimaste frustrate dal fatto che spostare un tracciato ferroviario, magari ponendo i binari sottoterra o tra le montagne circostanti, richiede ingenti spese fuori portata non solo degli Enti locali, ma anche del Governo centrale. Le cose cambiano, però, quando si palesano alle viste consistenti finanziamenti, magari di fonte europea, come per il PNRR.
Poco importa se quei fondi siano destinati a migliorare le prestazioni del vettore ferroviario per renderlo più appetibile rispetto all’auto o all’aereo e favorire, così, il riequilibrio modale. L’occasione diventa irresistibile per realizzare i sogni localistici dei sindaci, anche a costo di trasformarli in incubi per gli utenti del treno.
Certo, non si deve pregiudizialmente opporsi al cambiamento, ma la saggezza imporrebbe di giudicare volta per volta gli interventi preferibili. Ad esempio, se si programma l’integrale ricostruzione di una rete portante ad Alta Velocità – come ha fatto la Spagna negli ultimi venti anni – è chiaro che si possono ipotizzare nuovi tracciati e prevedere il passaggio in sotterranea nei maggiori centri abitati. Strada percorsa dal governo iberico in molte occasioni, quasi sempre, però, senza allontanare i binari dal centro delle città, salvo rare eccezioni, come a Burgos.

Questo potrebbe essere il caso della Alta Velocità tra Salerno e Reggio Calabria, benché l’idea di costruire la nuova linea dentro e fuori la catena appenninica prefiguri costi esorbitanti rispetto al miglioramento dell’attuale linea costiera. Ma, se la prima scelta dovesse, anche solo in parte, prevalere, si potrebbero accettare nuove stazioni raggiungibili in auto o in bus, a servizio di aree ora non servite, come nel Vallo di Diano, sull’esempio di quanto già a venuto con qualche successo nel caso della Mediopadana. Dove, però, la stazione storica a Reggio Emilia continua a funzionare.
Se si trattasse di allontanare treni merci pesanti, rumorosi e talvolta pericolosi, dalle zone urbanizzate, nulla osterebbe a progettare itinerari periferici dedicati, come è avvenuto da tempo negli Stati Uniti, dove però il trasporto passeggeri è marginale. Da noi si vedono poche situazioni assimilabili, salvo forse sulla nuova linea del Brennero, con la circonvallazione ferroviaria di Trento, fermo restando che la stazione viaggiatori deve restare dov’è per servire la città.
Se si tratta di raddoppiare un tracciato sinuoso che scorre in mezzo alle abitazioni di molte cittadine costiere, come nel caso del Ponente ligure, è lecito prefigurare nuovi percorsi, magari sotterranei, purché le stazioni siano ragionevolmente vicine ai centri storici, come è avvenuto, pur con qualche criticità, a Sanremo. Ma evitando, nel limite del possibile, gli scempi già occorsi ad Imperia, con la nuova stazione in mezzo al nulla, e che rischiano ora di riprodursi ad Albenga, dove la pur tardiva presa di coscienza di associazioni locali e di organizzazioni sindacali, come l’Orsa, chiede adesso una modifica del progetto, salvaguardando per quanto possibile la capillarità del servizio.
Ma se si tratta di intervenire su linee già esistenti, a doppio binario ed elettrificate, per velocizzare e potenziare il servizio, come nel caso della linea Adriatica, non si vede perché si debbano buttare miliardi di euro per blandire le velleità urbanistiche di certi amministratori, senza ottenere grandi risultati in termini di appetibilità del treno. O, magari, addirittura peggiorandola. Se si tratta di eliminare passaggi a livello pericolosi e penalizzanti, si proceda pure con adeguati sottopassi e sovrappassi. Soprattutto ciclopedonali, visto che proprio la barriera ferroviaria, in molti casi, ha frenato l’aggressione del traffico alle spiagge, con corollario di parcheggi contigui ai bagni.
Se si pensa di interrare le stazioni e parti del tracciato in ambito urbano, se ne valuti la fattibilità, a condizione che almeno una parte delle spese vengano sostenute dagli Enti proponenti, che potrebbero poi rifarsi con gli oneri di urbanizzazione e la crescita del valore degli immobili. Possibilmente evitando mediocri realizzazioni, come quella di Busto Arsizio, dove la stazione di Trenord venne interrata una ventina di anni fa, in occasione dell’apertura del raccordo per Malpensa, senza apprezzabili ricadute sulla città. Ma con il risultato di creare una stazione buia e percepita dagli utenti come insicura (la manutenzione costa, specie sottoterra, la sorveglianza anche).
E, se si propone – come ultimamente hanno fatto i sindaci della costa marchigiana, da Pesaro a Fano – di spostare ferrovia e relative stazioni “a monte dell’autostrada” (ossia a chilometri dal centro cittadino), l’ipotesi andrebbe rispedita al mittente. A meno che non sia accompagnata dall’impegno vincolante – come sostenuto da Cgil e Cisl locali – di trasformare l’attuale sedime in una “metropolitana leggera” (su rotaia, però, non fidiamoci di presunte busvie!) a servizio capillare dell’abitato. Cosa che in Liguria era stata pure ventilata, ma è rimasta poi sulla carta.
Altrimenti il risultato finale sarà disastroso. Attualmente tra Milano e Pesaro occorrono meno di tre ore con i treni più veloci. Un tempo certamente allettante rispetto alla parallela autostrada, Anche perché si scende non lontano dal centro ed a pochi minuti dalle principali destinazioni cittadine. Cosa succederebbe se si guadagnasse una manciata di minuti sul percorso ferroviario, per poi perdere tempo e soldi alla ricerca di un taxi o nell’attesa di una saltuaria corsa di bus? Come già succede, ad esempio, proprio ad Imperia, dove sia i pendolari che i turisti si sono rarefatti.

E allora, il PNRR costituisce un’occasione irripetibile. Le risorse economiche sono ingenti, ma non illimitate. L’obiettivo – ambiziosissimo – è quello di trasferire passeggeri e merci dalla strada alla rotaia, fino a raggiungere quote modali del 30 per cento (o addirittura del 50!) entro la metà del secolo, con conseguenti benefici ambientali, di sicurezza, di riequilibrio dei territori. Non possiamo permetterci di sprecare montagne di denaro in interventi faraonici, in cattedrali nel deserto, in opere magari anche interessanti sotto il profilo urbanistico (sempreché non spianino la strada ad ulteriori lottizzazioni e colate d’asfalto di cui non sentiamo il bisogno), ma che non migliorano la fruibilità del vettore che dovrebbe essere protagonista del cambiamento. Ossia del treno.
Massimo Ferrari