NUOVI TEE O EURONIGHT PER L’EUROPA DI DOMANI?
Mentre aspettiamo la fine della pandemia e la riconquista della libertà di viaggiare, c’è chi prefigura un ritorno ai Trans Europe Expess, la prestigiosa rete di treni internazionali che fu varata nel 1957 e che ebbe vita fino al 1991.

Si trattava di convogli di alta qualità che circolavano tra le principali città dei Paesi fondatori della CEE (Germania, Francia, Italia, Benelux), estesi poi a Spagna ed Austria, oltre ovviamente al transito attraverso la Svizzera. Questi treni ebbero un ruolo di primo piano nel ricucire le relazioni tra le nazioni del continente uscite malconce dalla guerra mondiale.
Il successo dei TEE si basava su alcuni presupposti che contrassegnavano il passaggio tra la ricostruzione postbellica ed il successivo boom economico. C’era una domanda crescente di scambi tra le nazioni che cercavano di superarele gabbie dell’autarchia e dei nazionalismi. E, al tempo stesso, le ferrovie potevano costituire lo strumento migliore per favorire i contatti internazionali, dal momento che la rete autostradale non era ancora completata, mentre l’aviazione commerciale manteneva un profilo elitario, con alte tariffe che escludevano i ceti medio-bassi.
Ma, sotto questo profilo, anche i TEE non scherzavano: in anni che vedevano prevalere treni sempre più popolari (emigranti, studenti, militari, turisti da pensione estiva), i convogli bianco rossi – prima prevalentemente diesel, per eliminare il cambio di locomotore e ridurre i tempi in frontiera, poi anche a trazione elettrica poli corrente – ammettendo solo passeggeri in prima classe con supplemento e prenotazione obbligatoria, si rivolgevano ad una clientela tendenzialmente facoltosa.
Io li ricordo bene quando, ragazzino in vacanza sul lago Maggiore, vedevo sfrecciare ogni giorno il “Cisalpino” diretto a Parigi o il “Lemano” per Ginevra. Per salirci a bordo, però, dovetti attendere il 1975, con un viaggio da Nizza a Milano sul “Ligure”.
Ora quei tempi sono cambiati e non torneranno più. Se davvero l’Unione Europea vuole combattere il cambiamento climatico, puntando (anche) sulla riduzione dei voli, non può illudersi che basti rispolverare un brand commerciale di successo per convincere la gente a spostarsi in treno da una nazione all’altra. E non può pensare che i patron dei voli low cost – O’Leary e soci – mollino senza reagire il loro ricco business, anche solo sulle brevi distanze. Oppure che il libero mercato stimoli le compagnie ferroviarie, racchiuse finora entro i confini nazionali, a competere oltre confine.
Occorrerebbe, in primo luogo, che la UE ricoprisse lo spirito del 1957, quando i collegamenti ferroviari internazionali occupavano un posto di rilievo nei Trattati di Roma, e non esiti ad assumere direttive regolatorie. Per esempio, applicando ragionevoli pedaggi ai voli low cost per destinarne i proventi (tassa di scopo) a finanziare in parte quei treni internazionali che stentano a decollare. Almeno sulle distanze medio-brevi, dove la rotaia può costituire una valida alternativa ai cieli.
Negli ultimi decenni si è pensato che le nuove infrastrutture veloci rilanciassero da sole la competitività dei convogli internazionali. Ma, a parte il fatto che le linee AV (in Francia, in Spagna, in Italia) sono state quasi sempre realizzate entro i confini nazionali, anche quando si sono spinte oltre – tipico il caso dell’Eurostar Parigi – Londra – sono rimaste vittime di logiche aziendali tese a massimizzare i profitti e ricreare monopoli. Ora che la Brexit e la pandemia hanno diradato i viaggi attraverso la Manica, sarebbe il caso di rilanciare una grande opera come il tunnel tra Calais e Folkestone, aprendolo a nuovi itinerari diretti, tipo Parigi – Edinburgo o Londra – Francoforte.
Forse, più che una nuova rete di TEE diurni, bisognerebbe individuare tutte le relazioni internazionali a medio raggio trascurate negli ultimi decenni, pur in presenza di potenzialità di traffico tutt’altro che trascurabili. Gli esempi non mancano, come l’asse che corre alla sinistra del Reno tra Basilea e Bruxelles, passando per Strasburgo e Lussemburgo, ossia le capitali delle istituzioni europee. O, per restare al di qua delle Alpi, l’itinerario Venezia – Trieste – Lubiana – Zagabria e. soprattutto, il Milano – Genova – Nizza – Marsiglia, che, dopo il tramonto del Thello, colpito dalla pandemia, rischia di restare scoperto come anni addietro, quando i responsabili commerciali di Trenitalia sostenevano candidamente, a margine di un convegno, che su quella rotta non vedevano occasioni di mercato (ossia su un itinerario che attraversa la Riviera Ligure – Albenga, Alassio, Sanremo – e la Costa Azzurra, con Monaco, Nizza, Antibes e Cannes!).
Ma, purtroppo, anche a livello europeo, tra i responsabili delle politiche che dovrebbero essere indirizzate al rilancio ferroviario, sembrano allignare personaggi del tutto avulsi dall’uso del treno. Quando, per esempio, insistono nel sottolineare la necessità di evitare misure discriminatorie, manco fossimo nell’Alabama del 1960, forse solo per ribadire (malamente) la contendibilità delle concessioni. Mentre, semmai, sono altre le barriere che allontanano la potenziale clientela, a cominciare da quelle fisiche come gradini o marciapiedi bassi ancora lungi dall’essere eliminati, a beneficio non solo dei disabili, ma di tutti, in un continente che sta progressivamente invecchiando. Lì però occorrono investimenti concreti e non vaghe dichiarazioni “politicamente corrette”.
Oppure le politiche tariffarie, che impongono l’acquisto di biglietti e prenotazioni – non sempre facilmente accessibili da remoto – per ogni singola corsa, mentre quarant’anni fa – con le tecnologie cartacee di allora! – si poteva acquistare un solo titolo di viaggio da Rabat a Istanbul ed attraversare sette diverse nazioni (lo vidi io stesso nelle mani di una ragazza curda nell’agosto del 1980). E, comunque, il problema non è tanto quello di facilitare queste improbabili anabasi ferroviarie, piuttosto di consentire a chi viaggiasse da Zurigo a Firenze di disporre di un solo biglietto, in grado di garantirne il proseguimento senza supplementi nel caso di perdita della coincidenza a Milano.
Se per i viaggi diurni basterebbe forse ricucire alcune relazioni mancanti ed imporre alle imprese ferroviarie politiche tariffarie più inclusive a livello internazionale – previa corresponsione di ragionevoli contributi di esercizio, quando politicamente giustificati – per i viaggi notturni occorre
davvero ripensare ad una rete di collegamenti continentali (in questo caso più Euronight che TEE), almeno tra le principali città europee. Considerando che di notte, con adeguate soluzioni confortevoli in letto o in cuccetta, il treno è sicuramente competitivo anche su distanze oltre i 1.000 km, non solo i 600/800 km di giorno (in funzione dalle velocità conseguibili sulle singole linee),
In parte ci hanno pensato gli austriaci (OBB) e gli svizzeri (SBB), raccogliendo il testimone lasciato incautamente cadere da tedeschi (DB) e francesi (SNCF), che ora sembrano disponibili a far ammenda dei loro errori. Per quanto riguarda il nostro Paese, mi pare irrinunciabile recuperare la relazione tra Venezia e Parigi, oltre che tra Milano e Barcellona. Ma anche verso la Germania, lungo l’asse renano. Fino ad una decina di anni fa era possibile partire la sera da Milano con un treno dotato di letti e cuccette per Dortmund, scendendo in prima mattinata in città importanti come Mannheim, Magonza, Francoforte, Coblenza, Bonn, Colonia, Dusseldorf o Essen, Nessuna di queste località, presa singolarmente, giustificava un treno notturno; tutte insieme certamente sì.

Lungo lo stesso itinerario, nel 2000, le ferrovie olandesi (NS) avevano tentato di riproporre una relazione diretta tra Milano ed Amsterdam, che utilizzai con una certa soddisfazione, nonostante cabine non felicissime e partenza confinata al binario estremo della stazione Centrale. L’esperimento durò poche stagioni, perché era fatto divieto di utilizzare quel treno nelle località intermedie in territorio tedesco, riducendo così la potenziale clientela.
La stupidità burocratica, sommata ad una distorta visione del mercato (un treno solo per la relazione da punto a punto, senza scali intermedi, come se si trattasse di un aereo), affondarono anzitempo un’ottima idea. Forse per rilanciare davvero il treno a livello europeo, bisognerebbe per prima cosa ridimensionare la burocrazia UE. E la mentalità contorta di troppe imprese nazionali.
Massimo Ferrari