MOLTE IDEE, MA CONFUSE: IL CASO DELL’UMBRIA
Mentre non è ancora approvato il Recovery Plan, sul come spendere le risorse per migliorare le infrastrutture ferroviarie si è già accesa la bagarre tra regioni e comunità locali.
Così non è ancora definito il progetto di estendere l’Alta Velocità a sud di Salerno verso Reggio Calabria, ma già il Cilento insorge, paventando il rischio di essere scavalcato dalla (eventuale) nuova linea, come successe a suo tempo con l’Autostrada del Sole che corre lungo il Vallo di Diano, lontano dalla costa tirrenica. Anche se si deve proprio a quella scelta la relativa preservazione delle spiagge tra Agropoli e Palinuro dal cemento e dall’asfalto, che ha reso il Cilento una meta ambita per il turismo di qualità. Per prima cosa bisognerebbe, dunque, chiarirsi le idee su cosa davvero si vuole.
Risalendo lungo la penisola, troviamo un altro caso controverso che ogni tanto torna d’attualità. Come (dovrebbe) essere noto, l’Umbria è solo sfiorata dalla “metropolitana d’Italia” Milano – Roma. Per la verità, quando, nella seconda metà dell’Ottocento, fu realizzata la prima ferrovia tra la pianura Padana e la nuova capitale del Regno, i treni passavano proprio da Perugia. Poi, però, la lunga ansa di Foligno venne accorciata, costruendo un percorso più breve tra Terontola ed Orte. Scelta sostanzialmente confermata al momento di realizzare la Direttissima Firenze – Roma. E meno male, altrimenti il treno tra le due maggiori città italiane oggi non lo prenderebbe nessuno.
Ciò non toglie che l’Umbria si senta giustamente marginalizzata dai collegamenti a lungo raggio.
Solo Castiglione del Lago ed Orvieto sono serviti dalla linea storica Terontola – Orte. Che passa pure, ma a distanza, per Città della Pieve. Adesso la scelta che alcuni caldeggiano è quella di realizzare una nuova stazione “Medio Etruria”, un po’ come la Mediopadana di Calatrava tra Milano e Bologna. Sul punto dove erigerla, tuttavia, i pareri sono discordi. C’è chi la propone in prossimità di Arezzo, oppure di Chiusi, dunque in territorio toscano e parecchio lontano da Perugia. L’attuale amministrazione regionale umbra sembra preferire Terontola, presso Cortona, tradizionale porta d’accesso al “cuore verde d’Italia”. Dove per ora ha ottenuto una fermata sulla linea storica dell’unico Frecciarossa, diretto a Perugia. Giusto per rallentarne un poco la percorrenza.
Al di là delle questioni di campanile, croce e delizia del nostro Bel Paese, forse la scelta più razionale è proprio quella di ottenere qualche coppia di treni veloci instradati da Firenze ed Arezzo verso Perugia, Assisi e Foligno e magari prolungarli fino a Spoleto e Terni. Si tratta di centri di una notevole rilevanza demografica, commerciale e turistica che certamente potrebbero giustificare corse dirette a Milano e Torino. Limitando le fermate intermedie a Firenze e Bologna si potrebbe contenere il viaggio tra il capoluogo umbro e quello lombardo sotto le quattro ore. Un tempo di tutto rispetto, in grado di convertire molti automobilisti al treno. In fondo, fino a vent’anni fa, esisteva un servizio notturno con WL lungo lo stesso itinerario.
Ma, siccome le ambizioni non hanno limiti, Perugia chiede anche un “raccordo per treni espressi” che serva l’aeroporto di Sant’Egidio, ovvero un semi anello di qualche chilometro che allungherebbe i tempi di percorrenza tra il capoluogo, Assisi e Foligno. Col risultato di penalizzare migliaia di pendolari che già utilizzano il treno nel tentativo di catturare qualcuno dei (pochi: 220 mila all’anno, prima della pandemia) clienti dell’aeroscalo. E magari, così, di sottrarre anche passeggeri al Frecciarossa diretto verso nord. Della serie, molte idee, ma ben confuse.
L’Umbria poi talvolta sembra dimenticare che le relazioni più frequentate, per ragioni di prossimità e di attrazione (anche aeroportuale) sono quelle con Roma. Certo, si possono – e si devono – potenziare le corse via Foligno ed accelerare il completamento del raddoppio della Roma – Ancona, previsto nella prima bozza di Recovery Plan. Ma non bisogna trascurare le potenzialità della ferrovia Centrale Umbra, che tra Perugia e Terni rappresenta l’itinerario più breve dove potrebbero essere instradati convogli interregionali veloci verso la capitale.
Peccato, però, che la Regione si sia a lungo disinteressata in passato di questa infrastruttura, lunga circa 150 chilometri, che ricade quasi integralmente entro i confini umbri e che, non essendo gestita da Ferrovie dello Stato, competeva proprio all’amministrazione perugina. Al punto che, dopo essere stata elettrificata e successivamente ridotta a trazione termica (caso di retrocessione quasi unico in Italia), la linea è stata chiusa negli scorsi anni perché i binari erano in condizioni tali da non garantire la sicurezza dei transiti.
Dopo aver chiamato in aiuto RFI per gestirne il ripristino ed elettrificarla nuovamente, i treni hanno ripreso a circolare tra Città di Castello e Perugia Ponte San Giovanni ma alla velocità massima di 50 km orari (grazie alle consuete disposizioni cautelative di ANSF). Questo nonostante il tracciato sia impostato per 90 km orari ed i convogli (ora impiegati sulla Orte – Settebagni) possano viaggiare a 150 km/h. E mentre sulla tratta tra Perugia e Terni mancano 250 milioni per completare i lavori e si dovrà attendere, nella migliore delle ipotesi, ancora qualche anno.
Tutt’altro che certo è invece il ripristino a monte di Città di Castello verso Sansepolcro, città che ricade in territorio toscano e, quindi, poco interessante dal punto di vista elettorale. E questo benché ad Arezzo si prema per la ricostruzione di una tratta distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale proprio fino a Sansepolcro. Dove, però, se e quando mai fosse davvero realizzata, i treni toscani rischierebbero di non incontrare gli omologhi umbri per consentire il prolungamento del viaggio.
Ma, ciononostante, non mancano i fautori dell’introduzione della trazione ad idrogeno “da Sansepolcro a Sulmona” (ossia lungo una linea che non si sa con certezza se verrà integralmente riaperta e di cui comunque è prevista una nuova elettrificazione). Fautori ammaliati, evidentemente, dalla pretesa innovazione tecnologica, che, quand’anche realizzata (a quali costi?), non apporterebbe neppure minimi vantaggi in fatto di percorrenza e del tutto marginali in termini ambientali.
Già, ma tanto dei poveri utenti a chi veramente importa? Eppure anche in Umbria gli utenti ci sono, pur se continuamente maltrattati. E sarebbero molti di più se si cercasse di promuovere il trasporto pubblico anche ad uso turistico in una delle aree più affascinanti e ricche di tesori artistici del nostro Paese. Come? Magari cominciando a proporre un’unica rete di treni, bus, mezzi urbani e battelli (quelli che navigano sul Trasimeno fanno già capo a Trenitalia), integrata sotto il profilo degli orari, delle coincidenze, delle informazioni e delle tariffe. Perché, ad esempio, non pensare ad un “Umbria Pass”, valido su tutti i mezzi di trasporto pubblico, per promuovere il turismo sostenibile?
L’ Umbria, comunque, un merito in proposito lo ha acquisito. A partire dalle scale mobili e dal Mini Metro di Perugia, ha promosso un sistema diffuso di mobilità verticale – funicolari, funivie, ascensori, tapis roulant, spesso addirittura gratuiti – in molti centri della regione. Peccato che lo abbia fatto pensando soprattutto a collegare i parcheggi anziché le stazioni (vedi il caso di Todi). E dimenticando poi di promuovere le eccellenze di cui pure avrebbe potuto fregiarsi.
Come la “metropolitana pedonale” di Spoleto, un percorso sotterraneo meccanizzato con uscite laterali che consentono di raggiungere vari ambiti del centro storico. Bene, avete mai osservato qualche scena della celeberrima fiction televisiva “Don Matteo” girata sul tapis roulant spoletino? Forse sbaglierò, ma non ne ricordo nemmeno una.
Massimo Ferrari