SE IL COLLEGAMENTO FISSO SULLO STRETTO TORNA D’ATTUALITA’
Per molto tempo il collegamento fisso attraverso lo Stretto di Messina – che non ha mai avuto un sostegno diffuso a causa di pregiudizi ideologici alimentati anche dalla scarsa autorevolezza dei suoi fautori – è stato avversato con una serie di argomenti solo in parte fondati.
In primis la natura sismica dei luoghi, che tuttavia non ha impedito ad altre terre non meno esposte a terremoti e tsunami, come il Giappone, di collegare le quattro maggiori isole dell’arcipelago con una serie formidabile di ponti e gallerie sottomarine in piena sicurezza. Inoltre si è insistito sulla diffusa corruzione malavitosa che alberga in ambedue le rive dello Stretto, fatto certamente innegabile, cui, tuttavia, non ci si può arrendere senza considerare definitivamente perdute ed ingovernabili le estreme regioni meridionali. Cosa evidentemente inaccettabile.
Più serio un altro argomento spesso utilizzato dai detrattori: a che servirebbe il collegamento fisso se poi in Sicilia strade e ferrovie sono in condizioni deplorevoli? Il che è vero soprattutto per le ferrovie (su strade e autostrade, invece, si è investito molto, forse anche troppo). Ma pure per i treni le prospettive stanno cambiando. Il raddoppio della Palermo-Messina e della Messina-Catania è andato avanti seppur con grande lentezza (e, forse, proprio l’assenza di una continuità con la rete continentale ha fornito un alibi a chi non ha mai posto tra le priorità questi lavori). Adesso, però, anche il fronte politico ostile al Ponte, capeggiato da ambientalisti e M5S, si dichiara risolutamente a favore non solo dell’ammodernamento delle linee costiere, ma anche di una sostanziale velocizzazione della dorsale Palermo – Catania.
Tra pochi anni, dunque, (anche se le tempistiche dei lavori pubblici in Italia sono sempre incerte) potremmo disporre di un triangolo ferroviario veloce, con tempi di percorrenza di due ore tra Palermo e Messina, 1h50′ tra Palermo e Catania e 50 minuti tra Catania e Messina. Il treno diventerà dunque una validissima alternativa al traffico su strada tra le principali città dell’isola e, previe ulteriori modeste migliorie, i benefici si estenderebbero anche alle province non direttamente toccate dal “triangolo d’oro”, ossia Trapani, Agrigento, Siracusa e Ragusa (Enna e Caltanissetta si collocano già lungo la direttrice Palermo – Catania).
Tutto ciò rilancia il progetto del collegamento fisso? Certamente lo ripropone con forza, benché l’ opzione sia tutt’altro che scontata. Il potenziamento ferroviario siciliano potrebbe giustificarsi anche limitatamente ai soli collegamenti regionali, vista l’importanza del sistema urbano dell’isola. Però si avvicina l’ora di una scelta definitiva, che deve tener conto ovviamente dei costi/benefici della grande opera, ma anche dalle considerazioni politiche che la stessa presuppone.
A che servirebbe un collegamento fisso tra le due rive dello Stretto? Non certo a trasportare gli emigranti verso le città del Nord e dell’Europa, come a metà del Novecento. Su queste distanze l’aereo non conosce rivali. Neppure a movimentare (grandi quantità) di merci, che possono fruire dei collegamenti marittimi (le famose “autostrade del mare”). Il collegamento, dal punto di vista ferroviario, si giustificherebbe essenzialmente su due fronti: da un lato l’estensione dell’Alta Velocità all’intero territorio nazionale, dall’altro all’integrazione dell’area metropolitana dello Stretto, visto che, sommando gli abitanti di Messina e Reggio, siamo in presenza della terza città del Mezzogiorno, dopo Napoli e Palermo.
Ma è pur vero che gli spostamenti di breve raggio tra le due sponde potrebbero essere adeguatamente soddisfatti, per i passeggeri non motorizzati, da una intensificazione degli aliscafi veloci, in adduzione alle due linee ferroviarie costiere, già in parte raddoppiate o in fase di potenziamento: la Gioia Tauro-Reggio-Melito di Porto Salvo sul versante calabrese; la Messina- Giampilieri- Taormina su quello siciliano.
Ciò che, invece, non può prescindere da un collegamento fisso, è la velocizzazione dei collegamenti tra Roma e Napoli da un lato, Messina, Catania e Palermo dall’altro, incluse, ovviamente, parecchie località intermedie di una certa importanza: Salerno, Maratea, Paola/Cosenza, Lamezia/Catanzaro, Vibo Valentia, Taormina, Milazzo, Cefalù. Sotto questo profilo, pensare che il traghettamento di treni con il sistema dei ferries possa avere un futuro è abbastanza fuorviante. Tutti gli altri stretti importanti disseminati per il Mondo li hanno ormai superati. Tra l’arrivo di un treno a Villa San Giovanni e lo sbarco a Messina intercorrono due ore: uno iato pari ad almeno 200 chilometri terrestri che, anche velocizzando le manovre, si ridurrebbe di poco.
Invece, con il miglioramento già previsto della Salerno- Reggio (ma, per favore, evitiamo il rifacimento integrale dei tracciati in galleria, come si ipotizza nel reggino, col solo risultato di gonfiare i costi, allontanando le stazioni dai centri abitati!) ed il completamento dei lavori già in fase avanzata in Sicilia, si potrebbe viaggiare in sei ore da Roma a Palermo, in cinque a Catania, in quattro a Messina (un’ora in meno da Napoli per tutte e tre le destinazioni). Abbastanza per disincentivare l’alternativa autostradale e costituire una valida alternativa all’aereo, considerando anche le destinazioni intermedie che non dispongono di aeroporti.
Basterebbe questo a giustificare i costi necessari a realizzare un collegamento fisso? Probabilmente no. A meno che il collegamento fisso – meglio il traforo sottomarino, meno spettacolare, ma anche meno impattante – fosse unicamente ferroviario. In questo modo si risparmierebbe non poco sui costi di realizzazione e, soprattutto, si potrebbe godere degli introiti tariffari connessi al trasbordo di automezzi su apposite navette. Modello traforo sotto la Manica, insomma.
Accantonando, almeno in una prima fase, l’idea suggestiva, ma estremamente costosa, di una metropolitana tra Messina, Villa San Giovanni e Reggio (che presuppone l’attraversamento in sotterranea dell’intero agglomerato urbano messinese, oltre a notevoli varianti sulla sponda calabrese) si abbatterebbero sostanzialmente i costi di realizzazione dell’opera, che insistono non tanto nel Ponte o Tunnel vero e proprio, ma soprattutto negli interventi complementari di adduzione.
Il precedente dell’attraversamento in sotterranea di Firenze, tuttora irrisolto, può insegnare qualcosa.
Poiché il collegamento fisso approderebbe in Sicilia in prossimità del Capo Peloro, si potrebbe anche ipotizzare un raccordo ferroviario sulla costa nord – relativamente poco popolata – puntando direttamente verso Palermo e raggiungendo Messina attraverso la già esistente galleria dei Peloritani. Anche l’impatto ambientale sarebbe notevolmente ridotto. I tempi di percorrenza verso il capoluogo regionale sarebbero velocizzati, quelli verso Messina e Catania un poco penalizzati (ma non oltre il quarto d’ora), senza compromettere l’appetibilità della relazione verso Napoli e Roma.
I costi complessivi dell’intervento resterebbero certamente molto consistenti, ma forse non insostenibili, tenuto conto delle risorse del Recovery Fund, destinate alle infrastrutture. Ciò consentirebbe di limitare l’interramento dei binari alla zona più centrale di Messina (grosso modo da viale Europa all’attuale stazione), liberando l’affaccio marittimo della città, come è avvenuto a Reggio Calabria. I raccordi portuali potrebbero essere eliminati, anche perché il trasbordo delle merci dai treni alle navi potrebbe essere effettuato nel nuovo scalo di Tremestieri, a sud della città. Il servizio capillare dell’agglomerato urbano messinese sarebbe affidato alla tranvia già esistente, estesa e trasformata in metropolitana di superficie, ben connessa con gli imbarchi degli aliscafi.
Il ritorno economico, forse, non sarebbe comunque garantito, neppure nel lungo periodo. Quello politico – innanzitutto la continuità territoriale con la più importante isola del Mediterraneo – probabilmente sì. A questo punto, però, bisognerebbe avere le idee chiare su cosa si vuole ottenere dalle grandi opere. Che devono essere pensate non solo e non tanto per aprire cantieri e favorire la ripresa economica, ma soprattutto avendo chiare idee sulle prospettive future della nazione.
Massimo Ferrari