DA COLOGNO A VIMERCATE: IL TRAM TORNA AD ESSERE LA SCELTA MIGLIORE
Fino agli anni Cinquanta del Novecento si diramavano da Milano – come pure da altre grandi città del Centro Nord – numerose tranvie che collegavano i popolosi comuni gravitanti sul capoluogo.

https://www.flickr.com/photos/henkg/4813792671/in/photolist-8knWRn
Gran parte di queste infrastrutture venne poi smantellata col pretesto di sostituirle con una modalità apparentemente più flessibile e meno costosa quale il bus. Un mezzo forse più economico, ma certamente anche meno efficace nell’adempiere al suo ruolo di vettore: infatti gran parte dei potenziali utenti hanno progressivamente disertato i bus, preferendo servirsi dell’auto.
In qualche (raro) caso, tuttavia, si decise di ammodernare il servizio su ferro, rendendolo più veloce e completamente separato dalla rete viaria. Fu così che, negli anni Sessanta, vennero programmate le “Linee Celeri dell’Adda”, sostanzialmente una metropolitana a cielo aperto che, nelle intenzioni dei progettisti, avrebbe dovuto spingersi sino a Bergamo. In realtà, per ragioni di costi, venne poi realizzata solo la linea fino a Gorgonzola e Gessate, divenuta la tratta extraurbana della MM2.
Nel 1981 venne poi inaugurata una diramazione che da Cascina Gobba, al limite nord est del comune di Milano, si spinge fino alla contigua cittadina di Cologno Monzese, servita da tre stazioni presenti sul suo territorio. Si trattava del primo tratto di una più lunga relazione che si sarebbe dovuta attestare a Vimercate, terminal del tram interurbano, il quale venne contestualmente soppresso (tanto, nel giro di pochi anni, sarebbe stato sostituito da un più attrattivo metrò), benché corresse, seppur a lato strada, su una sede sostanzialmente protetta.
Da allora, di anni ne sono passati ben quaranta, senza che la metropolitana sia avanzata di un solo metro, nonostante l’incontestabile successo della gemella relazione per Gessate, che nel frattempo è servita ad urbanizzare numerosi comuni (in alcuni casi con soluzioni di pregio, come a Cernusco sul Naviglio), drenando almeno in parte il traffico motorizzato diretto verso il capoluogo.
Nel frattempo, però, la situazione lungo la direttrice di Vimercate si è profondamente modificata. In peggio, ovviamente. L’urbanizzazione dei comuni interessati (Brugherio, Concorezzo) è cresciuta in modo alquanto caotico. Sono proliferati centri direzionali (il Colleoni di Agrate, ad esempio) o commerciali (le Torri Bianche di Vimercate) ed il traffico è cresciuto in maniera esponenziale.
La risposta alle nuove esigenze di mobilità, a dispetto delle buone intenzioni rimaste sulla carta, si è concretata esclusivamente in nuove arterie stradali: tangenziale Nord, tangenziale Est-Est, pedemontana lombarda, che hanno trasformato questa parte della Brianza orientale in una versione (peggiorativa) dei sobborghi di Los Angeles, tra svincoli mostruosi e mega parcheggi.
Siccome il comune di Milano ha, per fortuna, resistito a questo andazzo (la penetrazione urbana di via Palmanova termina nell’imbuto di piazza Sire Raul, all’altezza della cintura ferroviaria) è divenuto sempre più difficile raggiungere il capoluogo, sia in auto, per le restrizioni alla circolazione ed ai parcheggi, sia col mezzo pubblico, in forza dell’inaffidabilità dei servizi di bus, prigionieri del traffico per molte ore della giornata e praticamente assenti la domenica o nei fine settimana. Al punto che, ormai, gli spostamenti da e verso Milano sono minoritari, rispetto a quelli diffusi su un’area sempre più vasta (effetto “urban sprawl”, ben conosciuto nel Nord America).
Il prolungamento della metropolitana verde verso Vimercate, quindi, di tanto in tanto si ripropone, senonché adesso i costi sono lievitati, le realizzazioni sopraelevate (come quella attuata a Cologno Monzese) sono aborrite dai cittadini, la vecchia sede tranviaria è praticamente irrecuperabile. E finalmente ci si rende conto degli errori compiuti e si cerca una decorosa via d’uscita. Che può consistere in due soluzioni: o prolungare, di poco, la metropolitana verde fino a Brugherio ed attestare lì le linee su gomma. Oppure ricostruire una linea “light rail”, ossia una tranvia moderna in sede propria, abbastanza veloce (25/30 km/h di media commerciale) da essere attrattiva per una parte consistente di utenti motorizzati.
Se ne è parlato mercoledì 13 gennaio nel corso di un’affollata conferenza (in modalità virtuale, ben inteso), organizzata dall’Associazione Utenti del Trasporto Pubblico (UTP), cui hanno partecipato tutti i sindaci ed i rappresentanti dei comuni dell’area interessata, oltre all’Assessore ai Trasporti di Milano, Marco Granelli.
L’ing. Sandro Capra della Metropolitana Milanese ha delineato i diversi possibili interventi ipotizzabili, propendendo però per le due soluzioni innanzi citate e sottolineando la propria preferenza per l’opzione “light rail”, che appare più efficace nell’intercettare a costi sostenibili (circa 30 milioni al chilometro, contro gli 80 della metropolitana tradizionale) gli spostamenti il più possibile all’esterno dell’area maggiormente urbanizzata.
Non sarà verosimilmente possibile penetrare all’interno dei vecchi centri storici, ma si potrà pervenire ad un accettabile compromesso, collocando le fermate in posizioni facilmente raggiungibili a piedi o con modalità sostenibili (bici, monopattini e, in certi casi “park and ride”).
Sembrano escluse sia le soluzioni tecnologicamente innovative, tipo monorail sopraelevata, difficilmente inseribili nel contesto residenziale, sia soluzioni tipo BRT (Bus Rapid Transit), apparentemente meno costose , ma difficilmente difendibili dall’intrusione di altri veicoli o che necessitano, per essere un’alternativa credibile al mezzo individuale, di sedi proprie integralmente riservate più ampie di quelle richieste da un veicolo su rotaia.
Stranamente, tenuto conto del contesto italiano in cui su questi temi emergono il più delle volte posizioni velleitarie, incuranti delle risorse realisticamente disponibili o indisponibili a qualsiasi sacrificio in termini di spazio viario, dalla discussione degli eletti è emersa una larga convergenza sulla soluzione proposta ed un invito ad accelerare, per quanto possibile, l’iter procedurale.
Fin qui, tutto bene, dunque. Anche resta da vedere se poi seguiranno decisioni coerenti oppure basterà l’insorgere di qualche comitatino di residenti preoccupati del proprio “particulare” per spaventare i rappresentanti delle istituzioni, inducendoli a precipitose fughe o a penose contorsioni, come, purtroppo, è avvenuto in molti altri contesti. Ed occorre, naturalmente, assicurare i finanziamenti per tornare non solo a Vimercate, ma, auspicabilmente, per spingersi fino al nodo ferroviario di Carnate Usmate in modo da garantire il completamento di una maglia di relazioni su ferro a beneficio di tutto il Nord Milano, e magari, con una diramazione, anche a Monza, verso la quale gravitano molti degli attuali spostamenti.

Resta, comunque, il profondo rammarico di ben quarant’anni sprecati, inseguendo costose chimere (“la metropolitana sempre e comunque”), quando sarebbe bastato conservare ed ammodernare gradualmente l’antico tracciato tranviario, introdurre adeguate tecnologie (tipo la semaforizzazione asservita), e sostituire il materiale rotabile divenuto obsoleto.
Come è stato fatto con successo, ed a costi decisamente minori, in diverse altre realtà europee, a cominciare dalla Forch Bahn di Zurigo o dalla linea che collega Vienna a Baden. Già, ma oltre le Alpi sanno fare i conti e scelgono le soluzioni più razionali. Noi, invece, siamo creativi. Vogliamo il meglio, anche quando non possiamo permettercelo, e spesso finiamo con lo sprecare risorse o con l’arrenderci alle (cattive) abitudini consolidate.
Massimo Ferrari