IL PRESIDENTE BIDEN SPINGE PER IL RILANCIO DI AMTRAK
Cambierà qualcosa per il servizio ferroviario passeggeri Usa nell’era Biden?
Quest’anno, il primo maggio, Amtrak festeggerà mezzo secolo di vita in un clima un po’ più sereno. L’Agenzia Federale fu voluta da Nixon a fronte del continuo degrado e del progressivo abbandono dei treni passeggeri da parte delle compagnie private sopraffatte dalle concorrenza di aerei e autostrade. Ma, nelle intenzioni della Casa Bianca, doveva trattarsi solo di attutire un declino irreversibile.
Invece, nel corso dei decenni, Amtrak è riuscita a sopravvivere ai tagli minacciati da Reagan e Bush, in forza di un sostegno trasversale di congressisti di vario orientamento. Si è creata uno “zoccolo duro” di clientela: il corridoio sulla costa atlantica, i giovani ed i pensionati alla ricerca dell’America profonda, le comunità rurali lontane dagli aeroporti. Ma un vero rilancio non c’è stato, nonostante i buoni propositi di Obama, che aveva individuato una dozzina di itinerari meritevoli di alta velocità e le velleità di Trump che prometteva di ringiovanire le logore infrastrutture Usa.
Adesso sembra respirarsi un’aria diversa. Il nuovo Presidente, “Amtrak Joe”, è stato un pendolare di lungo corso che per quarant’anni ha viaggiato in treno tra Washington e la sua residenza a Wilmington nel Delawere (8.200 corse, pare!), cumulando un primato in fatto di miglia percorse. Ed anche il Segretario di Stato ai Trasporti, Pete Buttigieg, già sindaco di South Bend nell’Indiana e candidato alle primarie del Partito Democratico, è noto per essere un deciso paladino delle ferrovie.
Così Amtrak ha ripreso fiducia nel suo futuro ed ipotizza una serie di misure tese a rilanciare il ruolo dei treni passeggeri, per quanto ancora sofferenti a seguito della pandemia. Si parla di un collegamento tra New York e Dallas, via Atlanta, con vetture di lusso dirette a Los Angeles, in grado di andare da costa a costa in meno di 60 ore (5.000 km ed 8 fermate intermedie), come ai tempi ruggenti del dopoguerra. Si pensa di ripristinare un quarto itinerario da New York a Chicago, attraverso l’Ontario canadese e Detroit, congiuntamente ad una corsa internazionale da Chicago a Toronto. E di ritornare da Los Angeles a Las Vegas, dopo un quarto di secolo di assenza.
Si intende poi utilizzare la linea diretta costiera in Florida, che fu abbandonata dai treni passeggeri nel lontano 1963, dopo uno sciopero “luddista” che aveva comportato il sabotaggio dei binari. Si arriva persino a caldeggiare un treno internazionale da San Antonio a Monterrey in Messico, nazione con la quale erano completamente cessati i collegamenti su rotaia decenni prima del Muro che Trump stava cercando di erigere (e che non ha completato).
Ma ha davvero un senso insistere sulle lunghissime rotte transcontinentali che chiaramente non saranno mai competitive con l’aereo? Può averlo in un’epoca più attenta ai problemi climatici ed al diritto alla mobilità di molte comunità rurali, ma a condizione di accettare un servizio pesantemente sussidiato, cui molte componenti della società americana sono da sempre ostili. Per migliorare gli introiti si pensa di trasportare anche la posta e la consegna espressa di merci pregiate. Si punta sui vagoni letto e sul servizio di ristorazione, anche se non sempre con vagoni ristorante completi.
Del resto, i corridoi ad alta velocità, sia in versione Obama, che nelle confuse intenzioni di Trump – quelli che potrebbero avere prospettive di profitto – presuppongono un forte coinvolgimento dei privati, finora piuttosto tiepidi, oppure tentati da fughe in avanti tipo l’Hyperloop, sostenuto da Elon Musk. Non a caso i cantieri della linea veloce San Francisco – Los Angeles avanzano con grande lentezza e costi esorbitanti. Mentre gli altri progetti restano per ora sulla carta, salvo forse quello texano tra Dallas e Houston per il quale sembrano aprirsi orizzonti promettenti.
C’è allora un altro ambito nel quale potrebbe muoversi Amtrak e consiste nell’individuare corridoi tradizionali che collegano centri importanti in un raggio di 500 miglia. Per esempio in Ohio, dove sorge la più grande città nordamericana, priva dal 1979 di qualsiasi treno passeggeri, ovvero Columbus (circa 900 mila residenti). Adesso si ipotizza un itinerario all’interno dello stato che collegherebbe con quattro copie di corse al giorno Cleveland, Columbus, Dayton e Cincinnati. Un semplice servizio intercity, banale secondo gli standard europei, ma rivoluzionario oltre oceano.
I maggiori ostacoli che si possono intravedere stanno nella riorganizzazione dei rigoristi che potrebbero facilmente coalizzarsi contro le spese troppo “sociali” dell’accoppiata Biden-Buttigieg. Non si deve dimenticare che al Senato il nuovo Presidente gode di un solo voto di scarto (quello della vice Kamala Harris) e le cose potrebbero cambiare tra due anni dopo le elezioni di metà mandato. Se si vuole avviare riforme incisive, bisogna fare in fretta, prima che il vento cambi (come avvenne per la riforma sanitaria di Obama).
E per avviare cambiamenti tangibili occorre disporre da subito di risorse, non solo finanziarie, ma banalmente di treni, che, come è noto, non si comprano al supermercato. Amtrak sta pensando di riattare vetture già accantonate e di ridurre la composizione dei convogli per servire più itinerari (per esempio, un “Southern Crescent” da New York che, arrivato a Meridien, si divide in due sezioni verso New Orleans e verso Dallas). Si può fare, ma somigliare alle nozze coi fichi secchi.
Ci sono poi le lobbies ostili al rilancio dei treni passeggeri. Non tanto quella automobilistica o quella aeronautica, che per ora non hanno di che preoccuparsi per questo timido rilancio. E neppure quella dei bus a lungo percorso (Greyhound e soci), anche qui in caduta libera, nonostante la trasformazione in icone del “way of life” americano che per tanto tempo ne è stata fatta.
Gli avversari più insidiosi vengono proprio dall’interno del settore ferroviario e segnatamente dalle compagnie che muovono i treni merci. Bisogna ricordare che lo spettacolare declino ferroviario americano – meno di quindici anni tra la metà dei Cinquanta e la fine dei Sessanta – non ha riguardato i treni merci, “the arteries of America”. Liberatesi del fardello dei treni passeggeri, le compagnie private si sono concentrate sul traffico più lucroso, ottenendo risultati lusinghieri.
Hanno ridotto l’estensione delle reti – un tempo gli Usa disponevano di 400 mila chilometri di binari, tra un po’ la rete cinese li supererà anche in termini di estensione, mentre per qualità delle prestazioni lo ha già fatto da tempo – ma hanno accresciuto non poco i volumi di traffico. L’opposto di quanto è avvenuto in Europa, dove si è puntato (giustamente) più sul traffico delle persone.
Solo sul corridoio Boston-Washington – che, non a caso, è di proprietà di Amtrak – i treni merci cedono il passo. Ma è bastata l’intenzione di ripristinare una sola coppia di servizi passeggeri tra New Orleans e Mobile, rotta costiera dalla quale Amtrak dovette ritirarsi a seguito dei danni dell’uragano Katrina – proposta caldeggiata dallo stesso Buttigieg – per assistere ad una levata di scudi degli spedizionieri che movimentano i carri merce nel porto dell’Alabama. E temono di dover concedere qualche traccia orario all’Agenzia Federale.
Finora la riconversione di binari (molto spesso già abbandonati, però) in moderne “light rail” è avvenuta con successo all’interno delle aree metropolitane, dove la pressione delle comunità di residenti (almeno di quelli non “nimby”) è forte. Molto più difficile convincere gli impresari privati a condividere lunghi itinerari intercittadini, spesso a binario unico, a fronte di prospettive di traffico tutte da riconquistare, visto che da almeno due generazioni la gente non viaggia più in treno. E continuerà a non farlo se sarà esposta a frequenti ritardi ed a velocità commerciali modeste.
Resta il fatto che il Presidente di Amtrak, Warrington, rovesciando un dogma consolidato nei manager ferroviari, adesso si esprime così: “In passato abbiamo tentato di ridurre i costi tagliando rotte e servizi, Ma non funziona: le entrate che abbiamo perso hanno superato i risparmi”. Una lezione che sarebbe il caso di studiare attentamente anche in certe zone della vecchia Europa.
Massimo Ferrari