L’impero giapponese corre sulle rotaie
E' passato oltre mezzo secolo da quando il Giappone ospitò le Olimpiadi del 1964. Lo scorso anno il grande evento sportivo avrebbe dovuto tornare a Tokyo, ma, come è noto, la pandemia ne ha imposto il differimento alla prossima estate. L'edizione di 57 anni fa testimoniò la rinascita dell'economia nipponica, già pesantemente devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, esattamente come era avvenuto a Roma nel 1960 e si sarebbe ripetuto a Monaco nel 1972. I componenti del Patto Tripartito tornavano a pieno titolo – stavolta pacificamente, però – alla ribalta internazionale.
Ma nel 1964 il Giappone fece qualcosa di più dell'Italia e della Germania. Con 17 anni di anticipo sulla Francia di Mitterand, inaugurò l'Alta Velocità ferroviaria, ossia la linea Shinkansen da Tokyo ad Osaka. In un momento in cui i treni passeggeri vivacchiavano in Europa e si eclissavano negli Stati Uniti, travolti dalla prodigiosa espansione dell'automobile e dell'aviazione commerciale, Tokyo puntò su una tecnologia che molti ritenevano superata e che oggi è invece tornata in auge.
Quando visitai il Giappone, nel lontano 1983, la qualità del sistema su rotaia era incomparabilmente superiore agli standard cui eravamo abituati. Non solo per la velocità commerciale, ma soprattutto per le frequenze. Ogni sei minuti nell'ora di punta partiva da Tokyo un “bullet train” (treno proiettile) che poi fermava in grandi città come Kyoto per non più di un minuto: 30 secondi erano sufficienti perché da ogni porta scendessero 30 persone ed altrettante ne salissero a bordo. Ognuno conosceva l'esatto posizionamento della carrozza prenotata e si metteva in coda giusto poco prima dell'apertura delle porte. La puntualità era cronometrica (ma un macchinista mi confessò con aria complice il segreto: gli orari gli consentivano una tolleranza discrezionale di ben 15 secondi!).
Ciò che maggiormente colpiva era l'assoluta pulizia. Anche in grandi stazioni come Shinjuku, dove ogni giorno passa mezzo milione di persone, non vedevi un solo mozzicone sul pavimento. Il sistema tariffario: dalle grandi macchine emettitrici si potevano acquistare biglietti per ogni destinazione, con qualsiasi taglio di banconote e sicuri di ricevere l'esatto resto. E, soprattutto, da una città all'altra si viaggiava senza bagagli. Bastava lasciare la valigia al mattino fuori dalla camera dell'albergo per ritrovarla la sera nel corridoio dell'hotel di destinazione. Tutte cose che solo adesso, quasi quarant'anni dopo, cominciano timidamente a vedersi nell'Europa più avanzata.
Chi è tornato recentemente in Giappone mi dice che il sistema, ancora molto performante, sembra un poco affaticato. E in effetti l'economia nipponica ha conosciuto una lunga stagione di stagnazione che ne ha fiaccato lo slancio. Ma, comunque, le ferrovie del Sol Levante hanno fatto scuola in tutto l'Estremo Oriente, a cominciare da Taiwan e dalla Sud Corea, che a lungo erano state colonie di Tokyo, per poi sbarcare in Indonesia e in Cina, la quale, forte dei suoi numeri e delle dimensioni continentali, ha replicato ed amplificato a dismisura il sistema giapponese.
E non era un fatto scontato. La ferrovia arrivò tardi (la prima linea fu inaugurata nel 1872), in un arcipelago montuoso, frastagliato e soggetto a frequenti fenomeni sismici. Eppure le quattro grandi isole furono progressivamente unificate in un'unica rete, grazie ad una fantastica serie di ponti e gallerie sottomarine, alcune lunghe fine a 57 km, come il traforo di Tsugaru che collega Honshu ad Hokkaido, mentre da noi il pur ridotto Stretto di Messina sembra essere invalicabile e le polemiche sulla sicurezza continuano a produrre fiumi di inchiostro, finendo solo col ritardare anche gli interventi più semplici. E' notizia dei giorni scorsi che i lavori di ripristino della breve tratta Formia-Gaeta, sulla quale i treni avevano circolato tranquillamente fino al 1966, sono stati sospesi in attesa dell'autorizzazione a bonificare eventuali residui bellici, nascosti non si sa dove.
Perciò la distanza abissale che ci separa dal Giappone, anziché ridursi, continua a dilatarsi. Ma, se volessimo comprenderne le cause, anziché indagare sulle capacità di spesa o sulle competenze ingegneristiche – tutte cose che contano, ben inteso – basterebbe forse limitarsi alla lettura di un saggio come “Svelare il Giappone” di Mario Vattani, edizioni Giunti 2020, che ho letto da poco.
Citerò alcuni passaggi significativi, contenuti nel solo capitolo “Locomotiva”, dedicato ovviamente ai treni. “La rete” scrive l'autore “è talmente ben sviluppata che il modo più semplice di raggiungere quasi tutte le destinazioni è senza dubbio la ferrovia”. Per i giapponesi il treno non è soltanto un simbolo di progresso “ma un motivo di orgoglio per tutta la popolazione”. Le grandi stazioni sono diventate immensi centri commerciali in cui si può trovare di tutto. Ma questo, lungi dal produrre alienazione ed appiattimento, consente anche di riscoprire i sapori tradizionali, come un delizioso “bento”, da gustare a bordo, oppure sushi, o ancora piccoli sandwich di carne di maiale panata. “E sono prodotti di grande qualità”. Perché anche i migliori ristoranti hanno una succursale in stazione.
“Il comportamento da tenere è regolato da una serie di precauzioni che tutti i giapponesi conoscono”. E che evolvono nel tempo. Da sempre si sta in coda a sinistra sulle scale mobili, in modo da lasciare lo spazio sulla destra a chi è di fretta (salvo ad Osaka, dove invece, si sta fermi sulla destra). Ma, siccome l'età media cresce e, in vista delle Olimpiadi, si desidera facilitare i visitatori stranieri che non sempre conoscono le regole, adesso sulle scale mobili si deve stare sempre fermi, per evitare di sbilanciare qualche anziano malmesso, rischiando di farlo cadere.
I giapponesi si abituano ai treni fin dalla tenera età, “Certi bambini” scrive ancora Vattani “li adorano in modo quasi maniacale, collezionano le loro figurine e non vedono l'ora di salirci. Hanno quaderni su cui appongono timbri che certificano ogni viaggio, conoscono a memoria i nomi dei treni e i loro orari, e li vanno anche a fotografare, costringendo i genitori ad accompagnarli. Le madri canzonano affettuosamente i ragazzini, Li chiamano tetsuo, parola che indica l'acciaio, visto che tetsu-do, la strada ferrata, è la loro passione”. Ma anche gli adulti non scherzano. “Specie in provincia si trovano locali in cui si può prendere il tè in un mondo di treni, attraversato da ferrovie in miniatura, su cui girano tra i tavoli convogli carichi di bevande e di dolcetti”.
Gli interni dei vagoni sono disegnati da prestigiosi designer. Spaziano dallo stile antico a quello panoramico, con enormi finestrini per ammirare il paesaggio. Vengono proposti di continuo nuovi modelli, alcuni estremamente lussuosi, con salotti per le riunioni, visto che molte aziende li utilizzano per viaggi di formazione. Per i bambini ci sono carrozze addobbate con i personaggi dei fumetti manga; per le coppie in cerca di evasione si studiano ambienti romantici, con pavimento in tatami, magari in composizione ai convogli diretti verso le principali località termali.
Visto che anche per le scappatelle si utilizza il treno, attorno alle stazioni pullulano hotel per tutte le tasche, compresi gli alberghi capsula, dotati di camere a forma di loculo, che invece offrono una alternativa economica a chi ha perduto l'ultima corsa della metropolitana – che normalmente interrompe il servizio tra le 24.00 e le 5.00 – e deve attendere il mattino per tornare in ufficio.
C'è da stupirsi allora se proprio il Giappone, assieme alla Svizzera, si collochi sistematicamente al vertice delle nazioni con il maggior numero di chilometri pro capite su rotaia? O se siano ben 7 miliardi e mezzo il numero di viaggi effettuati ogni anno sui 30 mila km di rete (260 miliardi di passeggeri/km), quanto l'intera Unione Europea che, però, ha una popolazione quasi quattro volte superiore. Mentre le merci viaggiano prevalentemente su strada.
E se 46 delle 50 stazioni più trafficate al Mondo si collocano proprio nell'Impero del Sol Levante?
Anche se questi primati tendono ad essere insidiati da altri giganti asiatici, in primis la Cina naturalmente, che hanno imitato con successo il modello nipponico. Talvolta persino migliorandolo. Nel 2018 ho visto a Seoul sale d'aspetto arredate come salotti in cui ci si può rilassare in attesa del proprio treno, sdraiati su un divano anatomico o suonando il pianoforte. Proprio come da noi, vero?
Massimo Ferrari